Non è che sei milionariǝ e non lo sai?
Cosa c'entrano classe sociale e psicologia?
Moltissimo: potrebbe essere questo nesso a spiegarci che alcune delle difficoltà che viviamo - e che sono geneticamente legate alle neurodiversità, come nel caso dell’alta sensibilità - non sono aiutate da dove arriviamo.
Potresti in realtà scoprire di essere già arrivatǝ. O di essere molto vicino al tuo punto di massima realizzazione. E poi, scusa: chi l’ha detto che ci si realizza solo lavorativamente - o economicamente?
Mercoledì oggi parte da lontano, dalla Russia zarista, per arrivare a proporti alcuni punti di vista inaspettati.
Voluta da Pietro il Grande, nel 1722 la “tabella dei ranghi” aveva diviso i sudditi - esclusi, ovviamente, i servi della gleba - in quattordici classi, formalizzando il cin (grado), la condizione giuridica e sociale di chi serviva lo Stato nell’esercito, a corte, nella pubblica amministrazione. A ciascun grado corrispondeva un abbigliamento di cui veniva prescritto ogni particolare (lunghezza, ampiezza, numero di bottoni, colletti, baveri, cappucci pellegrine, colore, tipo di stoffa, mostrine, galloni").
Serena Vitale, Introduzione a Memorie di un pazzo, di Gogol’, 2024
Che si chiami “tabella dei ranghi”, “sistema di caste” o Pinco Pallo, stiamo parlando di classi sociali: sono più importanti di quanto pensi. Un recente studio inglese ha mappato che non sono più 3 (élite - classe media - classe operaia), ma 7:
Elite: ha capitale economico, culturale e potere.
Established middle class: ha alto capitale economico, ma nessun potere e livello basso di capitale culturale;
Technical middle class: sono quellǝ con buon capitale economico e culturale, ma totalmente disingaggiatǝ socialmente;
New affluent workers: ha alto capitale culturale e sociale, ma medio capitale economico;
Emergent service sector: chi lavora in campi tecnici ed emergenti. Ha basso capitale economico e sta lavorandoci su quello culturale. Buone relazioni e diffuse.
Traditional working class: ha basso capitale economico, sociale e culturale.
Precariat: chi vive alla giornata.
Cosa c’entra con la psicologia e l’alta sensibilità?
Ci arrivo.
1. L’impegno può non bastare
Se, per esempio, vieni da famiglia working class puoi fare pure il triplo salto mortale, ma è statisticamente molto difficile che tu faccia carriera in certi ambienti. La classe sociale di partenza pregiudica lo sviluppo in alcuni ambiti: inutile arrabbiarsi.
Un esempio: chi arriva da background socio-economico basso ha il 3% di possibilità di ottenere un dottorato di ricerca (percentuale che diventa ancor più ristretta se si è donne, omosessuali o disabili) e ancor meno possibilità di fare carriera (Fonte).
Per la politica, invece, va meglio: è più facile fare carriera anche arrivando da background più bassi. Alcuni esempi? Questi due, che non è che si stiano troppo simpatici.
Keith Starmer é figlio di un operaio e di un’infermiera (con una grave malattia): con una serie di borse di studio fin da piccolo ha avuto accesso a buone scuole. JD Vance, invece, ci è arrivato da grande, a Yale, dove ha studiato legge dopo un’infanzia devastata che l’ha portato a vivere dai nonni.
Chi studia il lavoro emotivo - ossia: l’inevitabile impatto emotivo dei lavori che facciamo - ha dimostrato che sul lavoro veniamo valutatǝ non per quello che sappiamo fare, ma per via della nostra gestione delle emozioni. Che per noi altamente sensibili non è esattamente una bella notizia.
Spesso la capacità di gestire le emozioni nel lavoro è qualcosa che si respira in casa - osservando i propri genitori (o chi per essi) discutere di lavoro, di strategie e di modalità per risolvere i problemi. Per chi non ha avuto una buona educazione emotiva o chi non ha assistito a questi dialoghi, è più difficile gestire le emozioni e sì, dipende anche dalla classe sociale, appunto.
2. Le lenti con cui guardiamo il mondo possono essere “distorte”
Si chiama “class bias” ed è la tendenza a vedere il mondo con i pregiudizi della classe sociale da cui proveniamo. Ad esempio, se provengo da working class posso non aver chiaro che alcuni lavori non sono marcatori di ricchezza (tipo: fare lo scrittore). Oppure: che la gran parte delle possibilità sono date dall’eredità ricevuta (in termini non solo di soldi, ma di conoscenza, capacità di frequentare specifici ambienti, e così via).
E’ stato scoperto, inoltre, un bias generazionale: i più giovani fra di noi associano erroneamente alcuni lavori, redditi o comportamenti ad una classe sociale più elevata di quello che è realmente. Tipo: pensare che andare in vacanza significhi essere ricchǝ. Non è così.
3. Prendi per tuoi problemi che sono collettivi
La classe sociale bassa tende ad essere vista come una colpa o problema individuale e non un’identità collettiva, come dovrebbe essere - e com’è stato in altre epoche storiche con maggiore coscienza politica. Si chiama stigma auto-riferito.
Un esempio?
I bassi stipendi medi in Italia: non è mica una questione di Chiara, Laura e Luca. E’ strutturale e dipende da tanti fattori. Anche se loro tre continuassero a impegnarsi al massimo e a chiedere ogni settimana un aumento, potrebbe non arrivare per loro uno sviluppo tangibile dal punto di vista economico. E non è “colpa” loro.
Un esempio più edificante?
Beh, la Francia, dove i problemi di classe sono ancora vissuti come collettivi e riescono a far mobilitare le persone, insieme. Oppure alcuni casi industriali italiani, dove si sono evitate chiusure di stabilimenti importanti attraverso mobilitazioni collettive.
Sento che pensi: “Bene, come usciamo adesso da questa gastrite che mi hai fatto venire su, cara Mercoledì?”
Eccomi, al tuo servizio.
SOLUZIONI PER ALTAMENTE SENSIBILI - o meglio: per tuttǝ
1. Monetizza tutto
Hai mai pensato di monetizzare quello che hai/sei - trasformarlo in qualcosa che abbia un valore economico?
Non vuol dire aprire un ennesimo negozio Instagram per vendere le proprie perle di saggezza, ma pensare al valore delle cose e delle competenze che già possiedi.
Per esempio: Quanto “vale” avere un corpo che risponde agli stimoli? Se avesse un valore economico, la tua relazione di coppia? Quanto valore genera un cuore attento agli altri? E l’attenzione che sai dedicare alle tue amiche, quanto vale?
Cosa intendo?
Ci hanno insegnato a guardare l’ambito lavorativo-economico come quello di massima realizzazione, assegnando valori specifici. Guadagni = vali. Ma forse l’hanno fatto solo perché è più facile da misurare. Ti pagano a fine mese, ci sono dei numeri e delle date, puoi fare proporzioni. Finita lì.
Se, invece, per un attimo, la ricchezza - reale e percepita - fosse distribuita a seconda delle relazioni, dell’amore, della bontà? Ci hai mai pensato: secondo me sei milionariǝ e non lo sai.
Diciamocelo. Così la finisci di prendertela con te stessǝ.
Celebrare la propria unicità significa anche avere piena coscienza del posto dal quale si è partitǝ.
Questo non vuol dire accontentarsi o chiudere bottega, no no. Il pensiero neoliberista applicato alle nostre esistenze ci ha fatto credere che le nostre origini non siano importanti, che il passato non conti, costringendoci a guardare - sempre insoddisfattǝ - il futuro.
Ma un futuro senza tutta la celebrazione della strada che si è già percorsa, non ne vale la pena.
2. Sei alto e veloce: cambia campo!
Usain Bolt voleva fare il calciatore finché, di fronte alle sue prestazioni, qualcuno gli deve aver detto qualcosa come: “Ragazzo, sei alto e veloce: allenati in un altro campo”. Sappiamo com’è finita, ma non com’è iniziata la sua storia sportiva. E’ semplicemente andato ad allenarsi nel campo accanto, quello di atletica.
Un altro sportivo. Forse non lo sai, ma Valentino Rossi è fissato con le auto. Con ragionevole certezza si può dire che abbia scelto le moto perché c’era meno concorrenza e aveva un oggettivo vantaggio in casa - il padre era pilota di moto. Appena ha un attimo, però, fa la Parigi-Dakar e guida le macchine di F1.
E allora, cosa vuoi dirci, Mercoledì?
Molto semplicemente, ti chiedo: il campo nel quale stai giocando è il tuo?
La psicologia insegna che ognuno ha un proprio posto nel mondo, deve solo trovarlo. Puoi brillare altrove. Magari nel campo accanto, o nei confini fra le diverse cose che fai. Prova a scoprirlo.
3. E se fai errori - come tuttǝ - impara a guardarli con auto-compassione
Chiudo con una meditazione compassionevole che ho trovato particolarmente calzante. Eccola.
Se chiedessi consiglio al mio cuore riguardo a una difficile situazione che attualmente sto affrontando, quale INTUIZIONE, PENSIERO DI SAGGEZZA o VERITA' PROFONDA mi offrirebbe? Se il mio cuore potesse esprimere ciò che prova riguardo il voler guarire una relazione importante della mia vita, cosa direbbe? Ogni volta che ti senti feritǝ, arrabbiatǝ o chiusǝ in te stessa, porta semplicemente le mani sul centro del petto. Inspira compassione e perdono e espire il dolore. Fai da uno a tre respiri così. Infine, concludi dicendo, a occhi chiusi: Possa io essere protettǝ, felice, sanǝ e stare bene. Possa essere liberǝ dal dolore, dalla fame e dalla sofferenza. Possano tutti gli esseri essere protetti, felici, sani e stare bene. Possano tutti essere liberi dal dolore, dalla fame e dalla sofferenza. Possa io essere disponibile ad agire per conto di coloro che soffrono. Donald Altman, Il magico potere del riordino emotivo.
Grazie per aver letto fino a qui! ;)
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M(ercoledì)arzia
Dalla lettura di Mercoledì.
Sono rimasta sorpresa dalla fatica e dalla difficoltà del lavoro. Nulla a che vedere con la facilità con cui, il giorno prima, avevo ripulito in un attimo l’aiuola delle peonie: lì le infestanti venivano via al primo strappo. Curioso, mi sono detta: in un’aiuola sradicare è stato molto faticoso, nell’altra facilissimo. Ne ho poi compreso il motivo: nell’aiuola delle peonie il terreno era stato lavorato per anni. (…) Qualcosa di simile avviene nella mente se solo ce ne prendiamo cura, le dedichiamo la nostra attenzione: cattivi sentimenti potranno attraversarla comunque, dopotutto l’atmosfera spirituale in cui siamo tutti immersi è percorsa da energie d’ogni genere. Se saremo poco attenti, potranno germogliare, radicare anche, ma non con tale forza da rendere un’impresa lo sradicarli. Ci attraverseranno senza trovare appiglio, fluiranno senza stagnare. (…) Come la terra, nemmeno la mente può venire “sistemata” una volta per tutte, occorre tornarci ogni giorno, fare quanto è necessario per mantenerla duttile, ben nutrita e a sua volta nutriente, fertile, generosa e in buona salute.
Pia Pera, La virtù dell’orto. Coltivando la terra si coltiva anche la felicità, pp. 20-22