Perchè (e quanto) paghi lǝ psi
Ce lo spiega un sociologo, ma vale per un sacco di cose. BONUS TRACK: criteri per capire se stai andando da quellǝ giustǝ
Si chiama DISUGUAGLIANZA PERNICIOSA ed è il motivo per cui l’unica reciprocità possibile con chi si occupa della nostra salute mentale è pagare. Ma quanto paghiamo? Dipende da tanti fattori e - surprise! - può anche cambiare. Come per ogni relazione, infatti, evolve nel tempo.
In questa newsletter, dunque:
ti parlo della disuguaglianza perniciosa e di come impatta dallǝ psi, tra il resto;
ti faccio una rassegna dei fattori da cui dipendono i prezzi delle sedute;
ti dò un paio di criteri per capire se chi hai di fronte è unǝ professionista adeguatǝ;
ti racconto qualcosa di personale, su quella volta che un collega non mi ha più rivisto.
Tu in cambio che fai?
Il mio ringraziamento ce l’hai di fronte.
E’ DISUGLIANZA PERNICIOSA quando:
Se non chiediamo nulla in cambio, non riconosciamo alcuna relazione reciproca fra noi stessi e la persona cui diamo. (…) In parole semplici, la reciprocità sta a fondamento del mutuo rispetto.
Richard Sennett, 2003, p. 217
Ecco il motivo per il quale se non dai nulla in cambio sei in una relazione impari.
Non si tratta solo di reciprocità: é che se io non contribuisco in qualche modo - qualsiasi - sto di fatto affermando di non essere dentro quella relazione, con i suoi obiettivi: di amicizia, di cura, di sostegno.
Per unǝ psi, non si tratta quindi del “solo” pagare il tempo che mette a tua disposizione per ascoltarti. O di ripagare i soldi che sono stati investiti in formazione per essere lì di fronte a te. E nemmeno che per arrivare a sbrogliare la matassa di pensieri distorti, credenze e problemi relazionali che porti - sì, come tutti noi, anche tu li hai - serva molta attenzione e pulizia (quella della psiche, dell’etica e dell’estetica del cambiamento).
E’ una questione di disuguaglianza perniciosa.
Quanto si paga?
A meno che non si stia parlando di servizi pubblici, o di poliambulatori - dove la tariffa è stabilita dalla struttura -, dipende. Da cosa?
Dalla fatturazione. Noi l’opzione che il/la nostrǝ professionista di riferimento evada le tasse non la prendiamo nemmeno in considerazione, giusto?
Dal titolo di studio. Non giriamoci intorno: se alcune tipologie di lavoro le possono fare anche i/le cousellor (di varia natura), le questioni psicologiche complesse le affidiamo a gente titolata.
Fai sempre un check del percorso di studio e formazione prima di affidarti allǝ primǝ che passa scrollando sui social.
Più nello specifico, dipende:
Dal numero di incontri stabiliti. Se le sedute sono due volte a settimana, solitamente non si va sopra i 50-70 euro a seduta, a meno che non intervengano altri fattori qui sotto.
Dalla durata delle sedute. I lacaniani possono anche tenerti un quarto d’ora, gli psicoanalisti tradizionali sono di solito abbastanza rigidi: non più di 50 minuti. Altri approcci possono prevedere di andare oltre l’ora. C’è anche chi non stabilisce un orario di conclusione della seduta.
In ogni caso, c’è una ragione metodologica. Ovvio, però, che questo impatti sul prezzo finale. Diciamo che si può arrivare anche a 300 euro l’ora.
Da chi sei tu, dal tuo reddito. Il prezzo della tariffa dipende anche dal reddito del paziente: notizia bomba? Non penso.
Uno studente fuori sede che deve lavorare per pagarsi le sedute è uno scenario molto diverso rispetto a unǝ professionista affermatǝ che arriva con una Birkin in seduta. No, aspetta: non sai di cosa stiamo parlando?
Dalla fase del lavoro. Potrebbe essere che siete passati da una psicoterapia a una supervisione o a un follow up: non è la stessa cosa, e il prezzo potrebbe cambiare.
Solitamente la fase più impegnativa (per entrambi) è quella iniziale - quando c’è una diagnosi da fare o, comunque, bisogna procedere all’analisi della domanda - quando, in altri termini, si cerca di comprendere la ragione latente per la quale sei in quella stanza.
Diffida di chi non ti fa pagare le prime sedute: può essere un’opzione commercialmente interessante, ma di poco valore.
E’ pur vero, d’altronde, che altrettanto complessa è la chiusura. O come accordarsi per il follow up, quella fase cioè in cui il percorso è formalmente finito, ma ci si incontra ancora per capire come sta andando.
Ebbene, in quel caso, la tariffa può cambiare.
Dalla tempistica di fatturazione. C’è chi fattura una volta ogni tre mesi, chi a fine del mese, o a fine anno. Anche quello può avere un ruolo nella richiesta di onorario.
Di solito, come ogni fase di lavoro, anche la cadenza di fatturazione dovrebbe essere negoziata. Che significa?
Che se non mi sta bene pagare 600 euro tutto in un sol colpo, posso chiedere di avere fatturazioni più ravvicinate.
In generale: si può anche negoziare. Bisogna essere in due.
Criteri per capire se è quellǝ giustǝ
Alcuni te li ho già detti prima, ma, insomma, indipendentemente dal prezzo, ci possono essere alcuni criteri di massima per capire se chi hai di fronte è unǝ buonǝ professionista della salute mentale (come vedi, uso uno spettro ampio di professioni).
Ti rispetta e assume un comportamento etico. Anche se sembrerebbe un concetto universale e che dovremmo dare per scontato, beh, ha infinite sfumature.
Un articolo (questo) parla ad esempio del rischio di micro-aggressioni in seduta: non volute, ma legate alla formazione, alla sensibilità e ad altri fattori (anche culturali) del/lǝ professionista - e di chi ci sta di fronte. Cose come anzianità, appartenenza generazionale, sensibilità personale, senso dello humour, eccetera.
A chi scrive, tanto tempo fa, un collega anziano - che adoravo - segnalò la fine della seduta con un: “Ora sparisci, non ti voglio più vedere fino a mercoledì prossimo”. Sì che era un modo di dire scherzoso, e io, ripeto, lo adoravo. Ma, a casa, ripensandoci, mi piacque talmente poco che sparii per davvero. (Oggi lo rifarei? No, gliene parlerei)
Non ti fa pressioni di alcun tipo. Il/la professionista della salute mentale sospende il giudizio e, pertanto, non ti fa pressioni di alcun tipo: compra il mio libro, vieni alla mia presentazione. O cose ancor più rilevanti come: devi scegliere questo, non puoi non fare quell’altro, adesso la lasci per davvero questǝ benedettǝ fidanzatǝ.
No, no.
Le scelte le prendo io.
ATTENZIONE, però: non stiamo parlando di quei percorsi dove la persona è talmente poco lucida o ha problemi mentali così seri che vanno date delle direttive per metterla in sicurezza, eh. Stiamo parlando di altro.
Rispetta la tua privacy. Da codice deontologico, noi psi non possiamo rivelare a nessuno chi è (o è stato) nostrǝ cliente, ovvio. Non possiamo nemmeno salutarlǝ se lǝ incontriamo per strada - perché potrebbe non voler far sapere al mondo che viene da noi.
Chi fa il contrario - mette su uno spettacolo di fuochi d’artificio quando ti incrocia al supermercato (e se lo fa, è probabilmente perché tifa tantissimo per te, cifra poco conosciuta del nostro lavoro) - potrebbe necessitare di una parlatina.
E’ in supervisione. O comunque, ha un suo analista di riferimento e/o si confronta con colleghǝ. Insomma, anche se davanti a te non c’è nessun altrǝ, non lavora mai da solǝ. Da cosa lo capisci? Perché ne parla tranquillamente, o nelle sedute successive ha degli elementi nuovi di riflessione.
Diffida tantissimo di chi dice che non ha bisogno della supervisione: vale come quellǝ che ti dicono di andarci tu in terapia, perché loro: no, non ne hanno bisogno.
Ti fa firmare il consenso al trattamento. Per noi psi è un documento obbligatorio che regola i rapporti e che ti anticipa come verranno trattati tutti i tuoi dati. Di solito il/la professionista dedica i primi incontri a spiegarlo per benino.
I fatti suoi te li racconta per una ragione che si applica al tuo caso. Il mito del terapeuta grigio (di cui non si sa niente, che non parla quasi nemmeno) è tramontato da più di qualche anno, e meno male - sai che pizza. (E che mancanza di stupenda letteratura, tra il resto)
Voglio poter scegliere anche in virtù di com’è, di quello che pensa, delle sue teorie di riferimento.
Allo stesso tempo, però, unǝ professionista che parla di sé è utile nella misura in cui è al servizio del tuo caso. Se hai l’impressione che il suo showing off non sia al passo, bene dirlo e, se non hai altri mezzi, salutarlo.
Grazie per aver letto fino a qui! ;)
Per commenti, basta rispondere a questa mail – e sì, rispondo a tutte le mail.
M(ercoledì)arzia
Dalla lettura di Mercoledì.
Esattamente come le storie d’amore, che dopo una scintilla iniziale si arenano al primo ostacolo, alla prima diffidenza, senza che la colpa sia dell’uno o dell’altro, e l’unica cosa che se ne può pensare è che non era destino, anche la relazione tra paziente e guaritore può prevedere che uno dei due si metta di traverso, finendo per arrendersi: non si stanno abbastanza simpatici, se vogliamo dare una spiegazione grossolana, o generano delle resistenze che rendono impossibile qualunque beneficio. Poco male. Può anche darsi il caso in cui è proprio il fallimento di una relazione a farci percepire nitidamente, a distanza di tempo, il valore e l’unicità dell’altro, la bellezza della strada che non abbiamo imboccato.
Emanuele Trevi, La casa del mago, 2023, p. 220