Quando lǝ psicologǝ non serve
O, meglio: viene dopo, o accanto. Breve guida all'utilizzo delle professioni che ci servono per tirarci fuori dai guai
Le cose al lavoro non vanno, c’è qualcosa di grosso che non funziona in una relazione, ho un problema a casa. Se fino a qualche anno fa, quando esponevi la faccenda, il mantra dell’amicǝ di turno era: “Vedrai, passerà”, ora è: “Parlane con unǝ terapista”. Meno male. Però, attenzione, non è sempre questo che serve.
Prima - o accanto - all’ingaggiare unǝ psi, in determinate condizioni, ci sono tantissime altrǝ professionistǝ da contattare. Scommettiamo che non sai di chi sto parlando?
In questa newsletter:
ti spiego a chi rivolgerti per cosa;
analizzo alcuni esempi di come farsi supportare;
ti racconto qualcosa di personale;
evito di parlartene come drammi, ché non ci aiuta a stare sul punto;
ti dò indicazioni pratiche immediatamente spendibili su come attivarti;
ti dò un buon motivo per divulgare queste info ad amici, parenti e affini (purché si iscrivano a questa newsletter, ovvio)
Su Facebook, qualche tempo fa, uno scambio allucinò chi scrive.
In un post, una donna si stava apertamente lamentando della condizione di violenza che subiva dal compagno. Sad story, già. Non fu tanto questo a stupirmi - quanto le risposte sotto al post. “Vai dallo psicologo”, “Parlare con un terapista”, c’era scritto.
Dove sta il problema, ti chiederai.
Beh, forse prima di parlare con unǝ psi- bisogna fare una denuncia. La violenza è reato!
L’ho messa dritta, lo so. Però, con molta onestà: il/la tuǝ psicologǝ non può fare da carabiniere, da giudice, da assistente sociale e nemmeno da amicǝ del cuore. Fa due cose, unǝ psi-, principalmente: consulenza e terapia. Ti aiuta a capire che hai e ti supporta a cambiare, se vuoi. Ci sono poi terapie cosiddette di sostegno, dove non necessariamente è in atto un cambiamento - ma c’è bisogno di supporto in una transizione, in un passaggio.
Per tutto il resto ci sono altri.
Chi?
Le forze dell’ordine, in primis.
Parto dalle basi: è il 112 il numero da chiamare quando sei testimonǝ di una violenza di qualsiasi tipo - i vicini che urlano, qualcuno che chiede aiuto, una rissa.
Per i bambini, da codici civile e penale qualsiasi cittadinǝ ha il potere di intervenire o segnalare abusi, se pensa che siano in pericolo. Stiamo parlando di persone che non possono difendersi dagli adulti perché cognitivamente e fisicamente ancora in sviluppo.
La segnalazione di una situazione di bambinǝ “in pregiudizio” (aka: sofferenza, disagio o carenza che può incidere sullo sviluppo) assume un carattere di obbligatorietà (in caso di notizia di reato - cioè quando c’è di mezzo il penale) quando si esercita una funzione di Pubblico Ufficiale o di Incaricato di Pubblico Servizio. Questo significa che sono chiamati a segnalare tuttǝ gli/le insegnanti, i/le dirigenti scolasticǝ, gli/le educatorǝ, gli/le operatorǝ socio-sanitarǝ pubblicǝ e privatǝ: medicǝ, psicologǝ, assistenti sociali, logopedistǝ, tuttǝ. Info da girare a chi fa questi lavori (e spesso non ce l’ha chiaro): i bambini che stanno male vi ringrazieranno.
Torniamo alla violenza fra grandi. Se, purtroppo, le denunce di parenti e amici possono fare poco (a meno che non ci siano bambini di mezzo - e allora valgono le considerazioni di cui sopra) fa la differenza l’atteggiamento della vittima. In caso di violenza domestica - per risultare credibili, e poter accedere eventualmente ai servizi dedicati - è la denuncia formale presso le forze dell’ordine a fare la differenza. Lo dice chi si occupano di violenza domestica qui, qui e qui.
Da lì in poi spesso inizia un iter complesso e che richiede particolare attenzione e cura, anche psicologica, ovviamente - ma bisogna pur iniziare da qualche parte.
Dirai: oltre che vittima, la persona si deve prendere in carico il peso di un’azione di questo tipo. Tutto perché chi dovrebbe andare da uno psichiatra non ci va. Lo so, però funziona così: se non ci vuole andare, se continua a far male, perlomeno impariamo a difenderci come si deve, ragazze.
L’avvocatǝ di fiducia. E no: non è da gangster
Vale come per lǝ psicologǝ: tutti dovremo averne uno, da consultare ogni tanto, in caso di dubbi. Per quali ragioni?
Io l’ho usato per:
mandare una mail all’azienda locale dei trasporti che mi aveva fatto una multa senza motivo (avevo appena timbrato il biglietto ma il controllore era convinto che l’avessi fatto solo perché l’avevo appena visto, non perché ero salita alla sua stessa fermata);
capire la responsabilità di una perdita d’acqua tra due condomini;
sollecitare un pagamento.
Tutta ordinaria amministrazione che una mia lettera - per quanto ben scritta - non avrebbe avuto la stessa incisività. E infatti: multa ritirata, bega fra condomini risolta, pagamento ricevuto.
Però, prima di ricorrere all’avvocatǝ, ce ne mettiamo di tempo, eh. Siamo cresciutǝ con l’idea che avere unǝ avvocatǝ di fiducia fosse una cosa da gangster.
Poi è arrivato Luis Sal e l’ha usato per altro, ma questa è un’altra storia.
Meglio se unǝ giuslavorista, quando i guai sono al lavoro
Che ne sa unǝ psicologǝ di come e quando è meglio dare le dimissioni? O di quali sono le responsabilità legali di quel casino che ti è scoppiato fra le mani? Semplicemente, non lo sa.
Unǝ giuslavorista, invece, prende il tuo contratto e ti spiega. Meglio ancora, se anche conosce il tuo settore di riferimento e le sue leggi.
Il relax di un confronto con unǝ bravǝ giuslavorista non lo si può capire, se non lo si è mai fatto. Tipo siero e balsamo insieme sui capelli crespi. Ti dà risposte chiare, inquadra il problema, e fornisce scenari entro cui muoversi. Poi, come per ogni cosa, confrontarsi con unǝ espertǝ relativizza l’ammontare dei tuoi guai. Sembra tutto più piccolo, più gestibile.
C’è, poi, l’assistente sociale
Come professione nasce nel 1978. E’ lo stesso anno del servizio sanitario nazionale, qualche anno prima di noi psicologǝ (1986). Lavorano in ospedale, nelle rsa, nelle carceri, per le adozioni e per l’assistenza a disabili e anziani, nei centri per l’impiego, nelle cooperative, a supporto dei tribunali. Il loro lavoro è spesso nell’ombra: occuparsi di chi - per legge o per bisogno - necessita di un supporto. Forse è per questo che è una professione poco capita e spesso bistrattata.
Nelle condizioni di un problema familiare, ad esempio, possono giocare un ruolo centrale: essendo informatissimǝ sulle cose che ci sono in giro (servizi, professionistǝ, chi fa che cosa), ti possono consigliare con cognizione. Ah, poi di solito, conoscono chi eroga prestazioni a prezzo contenuto.
A moltǝ di noi viene da pensare: “Ma dai, tanto non ci avrò mai a che fare”. Ti smentisco subito: quando avrai da gestire un anzianǝ non autosufficiente (o sarai tu l’anzianǝ), credimi che ti farà comodo sapere a chi rivolgerti.
Serve qualcunǝ che ne capisce di pedagogia, quando ci sono problemi con bambinǝ
A livello pubblico e privato i/le pedagogistǝ ormai operano in quasi tutte le realtà, con competenze specializzate nella gestione delle relazioni educative. Col termine si intende chi ha una laurea magistrale.
A livello privato, non è facilissimo orientarsi: dipende molto dalla preparazione del singolo, dalla sua esperienza e credibilità. A livello pubblico, invece, è più facile: li troviamo nei servizi educativi - nidi, scuole dell’infanzia, centri per le famiglie - e sono stati selezionati da bandi e concorsi pubblici, sulla base dei titoli e del loro cv.
Quando chiamarli in causa? Io ne abuserei sempre, se fossi madre.
Vuoi mettere qualcuno che ti spiega l’allattamento per bene, che ti dà qualche dritta sulla gestione delle prime ansie dei bambini, che ti supporta se il loro comportamento cambia bruscamente?
E i medici? Vale la prima regola della psicologia
E’ un mantra di qualsiasi corso base di Psicosomatica: “Prima di parlare di diagnosi psicologica, assicurati che sia stata indagata (e eventualmente esclusa) la componente organica”. Che tradotto vuol dire: se lamenta mal di pancia, mandalo prima da unǝ gastroenterologǝ, se è un bambino e ha forti dolori, vedi il pediatra che dice, e così via.
E’ la prima regola di qualsiasi psicologǝ ben formatǝ, ve lo assicuro.
Dovrebbe valere anche il contrario, intendiamoci: ovvero, cari medici, parliamo di cose psicologiche solo quando abbiamo escluso la componente organica. Paradossalmente, è proprio questa psicologizzazione ubiqua della realtà a fregarci. Persino in ospedale.
Vaccino anti-COVID-19, seconde e terze dosi. Stanze allestite per supportare le reazioni avverse con un sacco di gente dentro. Aspettando il mio turno, nel corridoio, non posso evitare di ascoltare quello che dicono medicǝ e infermieri a supporto dei pazienti sul lettino. C’è chi ha la faccia bordeaux, chi ha avuto un collasso: non banalità, ecco. “Ma sì, non si preoccupi, é tutta una questione di testa”. O ancora: “Guardi che è tutta ansia, signora, stia tranquillǝ e passa“. Che faccio, mi chiedo, entro e dico loro che le diagnosi d’ansia le lascino fare a chi è del mestiere? No, calmati, mi dico, non sbroccare.
Però penso fortissimo, così che magari mi arrivino a sentire: “Fateci il favore, di grazia. Occupatevi di capire se ci sono problemi cardiocircolatori, reazioni allergiche, problemi immunitari, prima di dire che è ansia, colleghǝ”.
L’assunto per cui è tutto psicologia è così pervicace da infilarsi praticamente ovunque. Una delle ragioni del suo successo è l’effetto di rassicurazione: Se sta tutto nella “sua testa”, allora il problema è suo. Mica devo pensare troppo alle mie, di responsabilità.
Stesso adagio per le questioni di burnout - ne abbiamo parlato qui.
Qualsiasi sia il problema, ecco come fare per uscirne
Vale se sei tu la persona inguaiata, o se è qualcunǝ a cui tieni. Parenti ed amici vanno supportati e debbono avere tutte le risorse necessarie per aiutare a venire fuori dai guai.
PARTI DA QUALCUNǝ DI CUI TI FIDI. E’ un modo, intanto, per iniziare a parlare dal problema - e, quindi, per uscirne. Meglio se queste persone sono dell’ambito su cui pensi di avere un problema. Esplicita che hai bisogno di una mano: per quanto possa essere evidente e per quanto quella persona ti conosca, non è telepatica. Ah, ricorda: chiedere aiuto è l’azione più importante che un umano abbia a disposizione.
FAI UNA LISTA DI PROFESSIONISTǝ DI CUI POTRESTI AVER BISOGNO. Il tuo guaio ha a che fare col lavoro? Googla chi è il miglior giuslavorista del tuo ambito, chi ha fatto un intervento a quella conferenza, guarda su Linkedin di che si occupa. Ancora: digita il suo nome e guarda se ci sono commenti di pazienti/clienti. Non che siano di per sé garanzia, ma almeno capisci se ci sono altre risorse da prendere in considerazione. Hai una questione di potenziale violenza domestica? Guarda le campagne dei media della tua Regione, ti dicono il centro più vicino e quale sensibilità c’è sul tema. Pensa a tutte le risorse di cui potresti avere bisogno nella situazione, non solo quelle più evidenti. Fai l’elenco, senza farti mancare nessun supporto: potresti aver bisogno di unǝ solǝ professionista, come di moltǝ. Qui sì, pensa a coinvolgere unǝ psi-: di supporto non se ne ha mai troppo.
APPUNTA TUTTE LE DOMANDE CHE TI VENGONO IN MENTE. Se denuncio il mio compagno perdo la casa? Se recedo quel contratto con meno anticipo rispetto a quanto stabilito che succede? Se faccio la pipì fucsia? (Beh, qui, vai direttamente al pronto, di corsa)
CONTATTA PER CHIEDERE INFO. I numeri verdi o le segreterie degli uffici servono a questo: capire se quello è il posto giusto dove indirizzare la ricerca di una soluzione. Non si tratta già di fornire le proprie generalità e entrare nel merito, ma di affrontare la questione con i termini che quel posto ha. In questa fase - di solito breve e anonima - le persone dall’altra parte sono formate a non essere invadenti, quindi vai tranquillǝ. Ricorda: prendi appunti. Nella prima telefonata, di solito, si hanno talmente tante emozioni addosso che ci si dimentica le cose o non si fanno le domande essenziali. Se preferisci, fai la chiamata in compagnia, in vivavoce, così a prendere appunti siete in due.
Per la violenza domestica, c’è il 1522.
Se hai dubbi che un bambinǝ sia esposto a violenza o la subisca la segnalazione va fatta ai Servizi Sociali del Comune o in Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni (che poi la gira ai servizi sociali che avviano le indagini). Se non sai nome e cognome del bambino in pericolo, vai alla polizia. Attenzione: non è che basta dire ai genitori “smettetela”, né che sia necessariamente un bene parlarne con loro. Spesso, per la sicurezza di quellǝ bambinǝ, è peggio che i suoi genitori siano informati della tua segnalazione. Se ti capita di assistere per strada ad una violenza, distrai il genitore in qualche modo - e poi segnala. Di solito, funziona. E quel bambinǝ ha visto almeno per una volta nella sua vita che un adulto non colluso esiste.
Per i disturbi del comportamento alimentare, c’è l’800 724147. Chi è espertǝ consiglia di rivolgersi ai centri dedicati fin dalle prime avvisaglie. Il passaggio dal dietista è inutile e, spesso, dannoso.
Per dipendenze e alcolismo, c’è l’800 632000 del Centro Nazionale Dipendenze e Doping. Per le diverse patologie ci sono poi centri regionali (Centro alcologico, centro per il gioco d’azzardo patologico, SERD). Un salto in ospedale, alla casa della salute o all’asl di zona aiuta a capire che cosa è attivo sul territorio: spesso ci sono volantini e materiale sui progetti.
Per questioni relative a gravidanze, aborti e problemi perinatali il buon vecchio consultorio ti aiuterà a capire cos’è attivo nella tua zona e se ci sono medicǝ con cui parlarne senza pregiudizi. Anche se hai abitudine a rivolgerti al/alla ginecologǝ in via privata, ricorda che un centro ha sempre più informazioni di una sola persona, per quanto informata.
RICHIAMA. Il primo passaggio serve per familiarizzare con i termini, i passaggi tecnici e le modalità di interpretare il problema da parte di chi, quei problemi, li conosce approfonditamente. Se servisse, datti un tempo, richiama e farti spiegare meglio. Oppure, se il primo contatto non ti ha convinto (ricordi che il tuo intuito è una fondamentale fonte di conoscenza? Ne abbiamo parlato qui) chiama il secondo numero della tua lista di professionistǝ che se ne potrebbero occupare.
FATTI DIRE A LIVELLO LOCALE CHI SE NE OCCUPA. Di tutto l’elenco di professionistǝ o servizi che hai, fatti indicare chi è vicino a te. Non è solo per sapere che hai qualcuno per dire: “Hey, se ho bisogno, passo”. E’ anche un modo per avere nomi e cognomi di chi lavora meglio sul tema. Ad esempio, per la violenza domestica sapere di poter contare sull’ispettore XY che è sensibile al tema e ha trattato tanti casi di quella fattispecie, fa la differenza. Come per tutte le cose, i nomi ci aiutano quando le istituzioni o i servizi sono a macchia di leopardo.
FATTI VEDERE o SENTIRE. Se vuoi cambiare, devi venir fuori, mi spiace. Farti vedere significa lavorare apertamente sul problema, insieme. E il nostro cambiamento non lo possiamo affidare al nostro vicino di casa: sono io, sei tu. Vieni fuori. Andrà meglio.
RIATTIVA LA PERSONA CHE HAI CONTATTATO ALL’INIZIO. Raccontarle il processo è un modo per tenerlǝ attivǝ e farle sapere come stai, nel frattempo. Tu potresti non saperlo: ma se non ti richiama, magari, è per pudore o perché non vuole essere invadente. Se te la senti, tenerla dentro il processo è un modo per stare insieme sulle cose.
Grazie per aver letto fino a qui! ;)
E, mi raccomando: divulga.
Non hai idea di quanto siano vicini questi problemi. E quanto, invece, insieme si risolve prima e meglio.
M(ercoledì)arzia
Dalla lettura del Mercoledì.
E’ anche possibile, tuttavia, guardare a ogni vita come a un esperimento, che ha domande da porre e qualcosa di interessante da dire a chi ancora riesce a provare meraviglia davanti al carattere vario e l’imprevedibile della caparbietà umana. Secondo questa prospettiva, una vita è sprecata se non riflette mai su ciò che scopre, né lo condivide con altri, e resta ignara di come appare quando viene accostata alle vite degli altri, in luoghi diversi e epoche diverse.
Theodore Zeldin, Ventotto domande per affrontare il futuro, 2015, p. 47