Quando non riesci a mandarcelə - dallə psy
Che cosa succede quando CHI VUOI TU non va dallə psicologə
Senti qui.
Per ogni psy* disponibile, è stato calcolato che nei soli Stati Uniti ci sono più di 1.800 persone che stanno male - che non ci vanno (Fonte). Per dire. In Italia, invece, è dal 2023 che per la maggior parte della gente dichiara che al primo posto delle necessità più sentite c’è andare dallo psy* (Fonte).
*Chi è amico di Mercoledì sa che per psy qui intendiamo tutti i professionisti della salute mentale regolarmente accreditati*
Come mai, allora, non ci va CHI VORRESTI TU?
In questa newsletter:
elenco più di un paio di ragioni per cui, con tutta probabilità, non riesci a mandarcelə, dallə psy (!). E, in qualche caso, ha anche a che vedere con te (sorry);
ti faccio spiegare perché siamo fermi al Rinascimento, in quanto a conversazioni psicologiche in Italia;
ti racconto il caso di una scrittrice che non è riuscita ad andarci più - e la colpa è di un cravattino;
ti regalo dei titoli di romanzi in cui andare dallə psy è raccontato in maniera realistica. Sia chiaro: non sono libri il cui tema è andarci.
Che, se per caso glieli volessi regalare, non deve apparire come un CALOROSO INVITO stampato in MAIUSCOLO.
Come per tutte le cose: se è troppo esplicito, non funziona.
Ovviamente - come per tutti i numeri di Mercoledì - giralo alle amiche: già lo sai che ne verranno fuori conversazioni interessanti.
Perché non ci va?
Al netto che non conosco CHI VUOI TU - altrimenti, ovviamente, te ne spiegherei tutte le ragioni (!) 🔮 - posso ipotizzare una serie di ragioni.
Partiamo da lontano per arrivare vicinissimo.
🔮
1. L’arte del non parlare mai di sé
Secondo Pietro Citati, critico letterario, gli italiani non si amano ed è responsabilità anche della letteratura.
La psicologia fiorisce di rado nelle nostre case. Se vogliamo conoscere cosa è l’anima, quale sguardo dobbiamo gettare su noi stessi, dobbiamo leggere Montaigne e Rousseau, Baudelaire e Proust, Shakespeare e Hawthorne, Hölderlin e Dostoevskij, Cervantes e Sterne, Freud e Jung: quasi mai un autore italiano. (…) Questa discrezione italiana cela, a volte, una specie di terrore profondo. Laggiù, nell’anima, stanno raccolti tutti i rischi, pensava Benedetto Croce, nemico di ogni psicologia. Se noi accettiamo l’anima e la sua dolce-amara scienza, incontriamo l’ombra, l’inconscio, il peccato, l’infinito, gli dèi. Ogni viaggio negli abissi dell’io può concludersi con la rovina e la follia. Tutta la nostra civiltà è fondata su questo rifiuto dell’anima.
Pietro Citati, Gli italiani non si amano, 1986, in L’armonia del mondo, p. 152
Capito, come la mette giù? Secondo lui, c’entra anche il nostro background culturale - che sia contadino o borghese.
Il segreto dell’eleganza contadina non è cambiato: non bisogna mai parlare di sé, della propria vita privata e dei propri dolori. Discrezione, riserbo, understatement, elusione sono virtù molto più italiane che inglesi. Qualcosa di simile è accaduto anche nella vita borghese. Mentre in Francia, in Inghilterra o Germania, sovrani, diplomatici, uomini politici, scrittori, generali, signore occupate o sfaccendate hanno scritto per tre secoli lettere e diari, in cui raccontavano (o fingevano di raccontare) sé stessi, la letteratura di carattere privato ha in Italia un ruolo quasi insignificante. (…) In Italia si è conversato moltissimo nelle corti del Rinascimento: poi una specie di cortina funebre è discesa sulla conversazione educata.
p. 154
Come a dirti: a meno che CHI VUOI TU non sia un cultore di letteratura rinascimentale, può essere che stia annegando nella media italiana del non esser capace di parlar di sé.
🔮
2. “Non sono pazzə”
Altro grande spauracchio: se vado dallo psy vuol dire che sono mattə. Vale doppio se si avanza il dubbio che serva anche qualche aiuto farmacologico.
Giammai.
Che, poi, se dovessimo sentirci pazzi tutte le volte che pensiamo, sarebbe un’ecatombe.
Certe persone pensano di essere pazze quando devono affrontare due pensieri contraddittori insieme, come se temessero di aver fatto qualcosa di sbagliato e sentissero di doversi liberare del pensiero intruso prima che confonda le acque. Ma il bello di pensare è proprio che confonde sempre le acque. Quindi come conciliare il libero pensiero e le acque torbide?
Deborah Levy, Bene immobile, 2024, p. 86
Lo trovo geniale. La paura di ammattire è la paura di pensare cose ambigue, contraddittorie, umide e complesse. Pensare è difficile, infatti.
Mica lo fanno tutty.
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3. No money, no psy?
Cinque milioni di persone in Italia (unə su dieci, più o meno) non vanno dallə psy per mancanza di soldi (Fonte). Ci sta, è un investimento.
Però.
Bisogna saper anche un po’ saper cercare. Ci sono molti modi per non spendere tanto e andare dallə psy. Appena ho un attimo, farò una guida sul tema.
In ogni caso, varrebbe la pena dire che tutti gli psy che conosco hanno tariffe che tengono conto del reddito di chi hanno di fronte. Insomma, raramente la questione economica è davvero tale. E’ più una fantasia - quella di non poterselə permettere.
🔮
4. Se l’unicə ad essersi stufatə dei suoi funzionamenti sei tu, allora vuol dire che…
Parto da una cosa letta tempo fa.
Non ho mai trovato nessuno di interessante che a un certo punto non si sia profondamente stufato di sé stesso.
Di solito, è quando accade questa cosa che ricorriamo a una terapia. Se CHI VUOI TU non sente questa necessità, i casi potrebbero essere due.
CHI VUOI TU non è abbastanza interessante - fattene una ragione, si può andare avanti anche senza fuochi d’artificio;
o
Non lo è più per te. In quel caso, di solito trovare interessante qualcuno è la pre-condizione per stargli accanto.
🔮
5. 50-50
E se, invece, il problema fosse tuo?
E se fosse la tua pressione o insoddisfazione di qualcosa a chiedere un cambiamento? Chessoio: un problema o dilemma che hai tu in questo momento, o qualcosa che ti è successo che condiziona il tuo star bene, quasi con chiunque?
Fermati un attimo.
Ogni atto della nostra vita relazionale è 50/50. Tu puoi farmi la peggio cosa, ma se IO rimango dentro quella relazione problematica è perché sto mettendo il mio 50% al servizio di quella relazione, per una qualche ragione. Mi dirai: non ho alternative, non ce la faccio da solə.
Bullshit.
Ce la facciamo sempre - e se non ce la facciamo da solə, abbiamo intelligenza e fortuna in quantità minime per poter trovare aiuto. Per dirla franca: un tetto non ti mancherà mai, da questa parte di mondo.
Se ci rimani dentro col tuo bel 50 è perché per qualche ragione ti fa comodo starci, in quella relazione: perché sentirti vittima ti rassicura, può esserti d’aiuto quello che di materiale ti offre CHI VUOI TU, può andarti bene qualche aspetto di contorno a cui hai dato un posto in prima fila nella tua vita.
🔮
6. Ci è andatə, ma ora non più
Un altro mito da sfatare è quello che la terapia funzioni per tutty in qualsiasi fase di vita. Nossignori, come per ogni relazione:
le due persone (o più, quando si fa terapia familiare) possono non piacersi - e non c’è niente da fare;
problemi di salute, indisponibilità, trasferimenti e impicci fanno chiudere il percorso anzitempo;
può succedere qualcosa - anche di minuscolo - che modifica lo scenario, e, semplicemente, non funziona più. Se siamo fortunatə, prima o poi capiamo perché.
Anche in questo caso, ci viene in soccorso la letteratura.
Siamo a Roma, estate del ‘46. Natalia Ginzburg è appena rientrata dal confino, dopo aver saputo che i nazisti le hanno torturato e ammazzato il marito Leone. Sola, con tre figli a cui badare e innumerevoli matasse da sbrogliare, viene indirizzata da Ernst Bernardh, LO psicoanalista di riferimento in città. Per dire: vanno da lui Fellini, Olivetti, Amelia Rosselli.
Natalia ci prova: con lui non dura una stagione. Colpa di un cravattino.
Intanto era venuto il fresco, e un giorno lo trovai con una camicia chiusa al collo e una cravattina a farfalla. Quella cravattina a farfalla sulla sua persona austera ed ebraica mi sembrò stupida, il più stupido segno della frivolezza. Non mi curai nemmeno di dirglielo, tanto inutili erano diventati per me i miei rapporti con lui. Di colpo smisi di andare da lui e gli mandai gli ultimi denari che gli dovevo con qualche breve parola. Sono sicura che non fu stupito e che aveva tutto previsto. Partii per Torino e non rividi mai più il dottor B.
Natalia Ginzburg, La mia psicoanalisi, 1969, Mai devi domandarmi, p. 44
🔮
Come promesso: facciamolə leggere
Ecco qualche titolo in cui il tema principale è un altro, ma la terapia è raccontata in maniera realistica. Te li spiego uno per uno, qui sotto.
Il dottor S. in La coscienza di Zeno cerca, invano, di aiutarlo a smettere di fumare - ma insomma.
Coz, lo psicologo di Sasha in Il tempo è un bastardo appare solo all’inizio ma fa capire molte cose, anche critiche, di come funziona una psicoterapia.
Dolly Alderton in Tutto quello che so sull’amore e nel più recente Avete presente l’amore? racconta dell’elaborazione psicologica che richiede uscire dalla dipendenza: che si tratti di alcool o di una relazione.
In Mai stata meglio la psicologa si chiama Hélène e dà dei riscontri interessanti alla protagonista che ha divorziato, ma non si perde d’animo. Anzi, ci ride su.
Come uccidere la tua famiglia è un romanzo sulla vendetta e, inspiegabilmente, è sagacissimo. Ad esempio, l’assassina va in terapia anche mentre continua a far fuori un sacco di gente.
BONUS TRACK
L’ho appena finito di leggere, è uscito da pochi mesi e racconta il protagonista dall’adolescenza tossicona al matrimonio freak. Nel mezzo ci sono appartamenti in giro per il mondo, la vita da skypper, due analisti - un uomo e una donna - e uno psichiatra francamente esilarante, il dottor Kraus. Molto “maschio” come libro (vedi la citazione finale qui sotto): cioè, mi sembra che parli soprattutto a chi si riconosce come tale.
Ne hai altri da consigliarci?
Grazie per aver letto fino a qui! ;)
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M(ercoledì)arzia
C’è sempre come un senso di clandestinità, nel tragitto tra la macchina e un analista, simile a quello che si prova ad avvicinarsi al portone di una puttana. Ci si trova a suonare il campanello guardandosi intorno, accostandosi al portone più del necessario, dandosi pose poco consuete che sviino possibili conoscenti. Noi avevamo contribuito con un cappello da baseball e una sciarpa tirata fin sopra il mento.
Pietro Grossi, Qualcuno di noi, 2025, p. 478