Quando qualcuno ti chiede "Sei felice?", scappa
20 marzo: giornata mondiale della felicità. Istruzioni per capire se sei felice - ma anche no, dai
Non perché ci si debba vergognare a stare bene, intendiamoci. Né che per essere presǝ sul serio si debba puntare a sprizzare felicità da ogni dove. O, al contrario, a dare mostra di te solo lamentandoti.
Lo canta pure Angelina - tra le mille cose di quella canzone - quando dice: “E vorrei dirgli che sto bene ma poi mi guardano male, allora dico che è difficile campare” (minuto 1:13)
La felicità è una cosa seria. E, come tutte le cose serie: non bisogna darci troppa importanza.
Intanto: che cosa intendi(amo) per felicità?
La psicologia non ne è ancora venuta a capo, sorry. Capiteci: dipende da tanti fattori. Secondo alcuni, è quando abbiamo una qualità di vita soddisfacente (allora noi italiani dovremmo essere i primi della lista - ma non è così). Per altri, è quando abbiamo un senso di soddisfazione soggettiva.
Sei curiosǝ di sapere qual sono i Paesi più felici al mondo? E’ uscito oggi il World Happiness Report 2024. Lo trovi qui.
C’è chi distingue, poi, tra felicità edonistica - quando il godimento è al top e il dolore non c’è - e felicità eudaimonica - quella degli stoici, per intenderci: quando ci accompagniamo al demone dello spirito e della saggezza, e perseguiamo il bene, anche sacrificando anche un po’ noi stessǝ.
La felicità (εὐδαιμονία) è un buon dèmone (δαίμων)
Marco Aurelio, Pensieri, VII, 17
Il fondatore della Psicologia Positiva, Martin Seligman, ne parla come di un costrutto multidimensionale, che contiene tante cose diverse. Non tutti sono d’accordo con lui - ahia. (Mercoledì si chiede, infatti: se vado contro la psicologia positiva, siamo sicuri che poi non mi prendono per adeptǝ, a mia insaputa, di psicologia negativa? Una specie di Serpeverde cattivo? Ah, saperlo).
Qualsiasi sia la definizione che scegliamo, essere felice è un insieme di valori, aspettative culturali, cose che ti hanno detto, e idee che ti sei fattǝ.
Un recentissimo studio spagnolo (Fonte) ha mostrato che le definizioni di felicità sono super disparate per le persone comuni. Quelle più quotate sono sociali:
Felicità è quando chi amo sta bene ed è al sicuro
Felicità è aiutare gli altri
Felicità è trovare l’anima gemella
Felicità è quando vivo in una società democratica e in un welfare state
Seguite da definizioni psicologiche, come:
Felicità è amarsi e avere rispetto di sé
Felicità è avere un mindset positivo, uno stile di vita adeguato e poter fare delle scelte
Dato ancor più sorprendente: non c’è nessuna relazione fra chi è felice davvero e la sua definizione di felicità. Della serie: non c’è un metodo che funziona meglio di un altro, per definirsi - e, quindi, sentirsi - felici.
In ogni caso, se sei curiosa di sapere quali definizioni di felicità hanno professionisti che lavorano nell’ambito, leggi qui
ISTRUZIONI PER CAPIRE QUAL E’ LA TUA DEFINIZIONE DI FELICITA’
Cosa ti preme di più? Giusto per saperlo.
E’ la cosa più importante della tua vita, essere felice? Potrebbe non esserlo - e non c’è niente di male: magari vuoi sentirti realizzatǝ sul lavoro, o avere 1000 case in giro per il mondo. Se, invece, pensi che sia importante per te essere felice - e se sei millenial, è del tutto probabile che sia così: siamo cresciuti nel mito della felicità a tutti i costi - conviene pensarci un attimo.
Accetta anche di non avere idee sulla felicità, o di averle confuse.
Infine: Perché te lo stanno chiedendo, se sei felice?
Come mai ti si gela il sangue nelle vene, quando qualcuno te lo chiede? E’ più che legittimo, sai?
Di solito, quando ci attiviamo, è perché sentiamo che i motivi della domanda non sono chiari. O peggio, sono manipolatori. Forse “sei felice?” sostituisce domande come: “Mi ami?”, “Stai bene con quel nuovǝ ragazzǝ che non sono io? (A me non sembra)”, “Siamo sicurǝ che fare quella scelta è stato sensato?”
Tutte richieste profondamente improprie.
Perché?
Se sono (in)felice (con te, col partner, con quella scelta) si vede. Non serve chiedere.
Se - nonostante si veda - continui a chiedermelo è perché qualcos’altro bolle in pentola. Non sei d’accordo con la scelta che ho fatto? Dillo, anziché fare allusioni.
Mette dubbi anche al più incrollabile di noi, una domanda del genere. Oddio perché me lo sta chiedendo? Non lo dimostro abbastanza? E poi: che cosa vuol dire essere felice, allora?
Rischia di attivare una specie di performance di felicità: dimostrare continuamente che si è felici. Lasciateci in pace: magari sono tranquillǝ, sto bene e basta. E va bene così, mica bisogna sempre dimostrare tutto.
Esplicitare di essere (in)felici è una fatica relazionale. Se vogliamo bene ad una persona, non chiediamoglielo, per favore. Sostituiamo quella domanda con qualcosa di più circostanziato. Oppure, chiediamo se possiamo occuparci di qualcosa noi. Come diceva Michela Murgia: amare è dire “me ne occupo io".
Una promessa, allora: qui non ti chiederò MAI se sei felice. Qualsiasi cosa voglia dire, però, ti auguro di esserlo, ogni tanto. E di notarlo, quando capita.
Grazie per aver letto fino a qui! ;)
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M(ercoledì)arzia
Dalla lettura di Mercoledì.
Mi chiedo se stavolta il problema non fosse proprio dove mai avrei osato cercarlo: in quella felicità che, sebbene a portata di mano, non riuscivo mai ad afferrare del tutto. Chissà, forse anche per essere felici, come per amare liberamente, ci vuole un bel po’ di carattere.
Questo in termini generali. Nello specifico devo dire che, pur senza averne coscienza, già allora la felicità mi lasciava perplesso: e mica per la sua natura intrinsecamente fraudolenta, ma perché sembrava parlarmi non già di ciò che che avevo ottenuto ma di ciò che ero in procinto di perdere.
Alessandro Piperno, Di chi è la colpa, 2021, pp. 35-36