Saresti l'ultimǝ a saperlo, se fossi in burnout
Ma il primǝ a capire come venirne fuori, se sai come farlo.
Gennaio è un mese impietoso. Dall’alto dei suoi interminabili 31 giorni, ti fa capitare un po’ di tutto. Come questa telefonata.
Dopo tre giorni di chiamate - senza risposta - al centralino di un ospedale per disdire un piccolo intervento, ci ho rinunciato. Mi sono detta: “A sto punto, richiameranno”. Il giorno successivo, eccome se hanno richiamato. Un’infermiera, dal suo numero personale (perché così - mi ha detto - avrei sicuramente risposto), attacca la telefonata come se fosse un citofono. MA LEI COME SI E’ PERMESSA! NON E’ VENUTA, NON E’ STATA CORRETTAAAAAAAH
Dopo averle tenuto testa e, sbollita la rabbia, ci ho ripensato. Mi sono chiesta: quell’infermiera di sé non è che pensava: “Oddio, sono in burnout”. Eppure. Vale come con le corna: lo capiscono prima tutti gli altri. E quando ci arrivi tu: beh, sei semplicemente l’ultimǝ a saperlo.
Noi altamente sensibili, poi, siamo più esposti al burnout: ce lo dobbiamo dire. 1) Abbiamo livelli più alti di cortisolo - l’ormone dello stress. 2) Percependo di più rispetto alle altre persone, dobbiamo lavorare più stimoli, “usandoci” di più. 3) Tendiamo all’overstimulation. 4) Non siamo proprio sveglissimǝ ad accorgerci quando qualcosa non va.
In ogni caso, partiamo dalle definizioni.
Che cos’è, tecnicamente, il burnout?
Il burnout è una sindrome di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta efficacia personale che può accadere alle persone che fanno "people work" di qualche tipo.
Lo scrivono Maslach e Jackson nel 1986
Dall’86, le cose sono cambiate.
Se una volta, era una roba da ospedali e servizi clienti, ora noi psicologi sappiamo che appartiene a tutti, anche a chi non lavora (si chiama Personal Burnout, l’a scoperta un’équipe danese nel 2005).
Le professioni più esposte al burnout non sono quelle che pensi. Negli Stati Uniti, gli urologi sono al numero 1 di questa classifica, seguiti da chi edita film e video. L’avresti detto?
Una volta, si capiva il burnout dal cinismo - battutacce cattive sui pazienti, mancanza totale di empatia - e pure dall’aggressività (vedi l’infermiera che mi ha chiamato). Ora, si tratta di comportamenti più subdoli: tipicamente, evitamento e distrazione. Ma poi, ci sono altri comportamenti-sintomo: c’è chi ragiona in maniera “compartimentale” - incassettando in scomparti specifici le cose, con il risultato che se non mi riguarda non esiste o separando parti di sé, pensieri e emozioni. Altri ancora, evitano del tutto i colleghǝ, si isolano e si buttano sull’alcool.
Secondo Byung-chul Han (filosofo coreano che insegna a Berlino, autore di un sacco di libri interessanti, tra cui “La società della stanchezza”), il burnout è tipico delle società neurali, dove le malattie ci sono per “eccesso di positività” - tante info, beni in sovrapproduzione, prestazioni al top, possibilità di comunicare praticamente con chiunque. Lui parla addirittura di violenza positiva. Una cosa carina e senza scontri, ma che ci impone di non risparmiarci mai. Il più delle volte senza che nessuno ci abbia chiesto niente.
Non è che una mattina ci svegliamo e, “Piacere, mi chiamo Burnout, occupo la sua vita che ne dice”. E’ qualcosa che arriva piano, spesso perché ci siamo abituatǝ a situazione scomode, e non abbiamo fatto scelte.
Una rana salta per caso in una pentola appena messa su un fornello acceso. La fiamma è bassa e la rana nuota a suo agio in un’acqua appena tiepida. L’acqua pian piano si riscalda, ma la rana la trova ancora piuttosto gradevole. La fiamma si alza ulteriormente e l’acqua ormai è diventata calda, un po’ più di quanto la rana apprezzi. Ma non si spaventa, compie un piccolo sforzo e si abitua ben presto all’aumento del calore. Mano a mano che l’acqua si scalda, la rana sente che la temperatura è davvero troppo alta e decisamente sgradevole. Ormai si è talmente indebolita da non poter più far nulla per salvarsi. [Fattore 1% di Luca Mazzucchelli]
Ecco una definizione più recente.
Il soggetto narcisistico non è capace di concludere. L’obbligo prestazionale lo costringe a realizzare sempre più prestazioni, così che egli non giunge mai allo stadio tranquillizzante della gratificazione. Il soggetto vive permanentemente in uno stato di mancanza e di colpa. Poiché, da ultimo, fa concorrenza a se stesso, egli cerca di superare se stesso, finché non crolla. Subisce un collasso psichico, chiamato burnout.
Byung-chul Han, 2020, p. 83
Come venirne fuori?
Accettando. L’esaurimento può diventare occasione di cura, se lo si accetta. Per quanto sembri paradossale, stancarsi permette di chiudere le ferite, in una società che ritiene - erroneamente - che tutto sia possibile.
Rilassarsi non funziona. Una persona in burnout non la fermi nemmeno coi botti di Capodanno: continuerà a fare-fare-fare. La soluzione - perlomeno all’inizio - è quella di usare quest’incapacità di staccare per investire nelle uscite, nel programmare iperattivamente un nuovo hobby, fare il giro del mondo in 80 giorni.
Comportamenti protettivi. Nel mio ambito, per esempio, è protettivo aver stima dei propri supervisori, fare supervisione regolarmente (e non solo quando ci sono emergenze), percepire di far parte di una buona squadra, fare cose per migliorare la propria auto-efficacia, investire in mindfulness e compassionate training. Quali sono i comportamenti protettivi nel tuo, di ambito? Scommetti che se mi dici di cosa ti occupi lo scopro? Scrivimi e ti troverò le soluzioni che qualche ricercatore sperduto ha già studiato.
BONUS TRACK per altamente sensibili
VIVI COME SE TUTTI FOSSERO MORTI
L’ho sentito tanti anni fa in tv (qui sotto l’intervista completa). Chi parla è Sebastiano Mauri, un artista che ai tempi aveva appena pubblicato la sua autobiografia in forma di romanzo - in cui raccontava la sua vita sessuale, le sue aspirazioni, la disfunzionalissima family. Ad un certo punto, per poter continuare si è detto: SCRIVI COME SE TUTTI FOSSERO MORTI. Mi è sembrato illuminante: facciamo che non ci siano aspettative su di me, facciamo che le persone che potrebbero influenzare le mie scelte non ci sono più, facciamo che nessuno si offende se vivo la mia vita come voglio. Che liberazione. (Ovviamente, Mercoledì augura lunga vita a tutti)
ELENCA TUTTE LE COSE CHE HAI FATTO PER FAR CONTENTI ALTRI
Quali cose ho fatto nell’ultimo mese per far contentǝ qualcun’altrǝ? Scrivile.
Poi, chiediti, onestamente: “L’ho fatto per paura delle sue reazioni?”
Se sì - e ci sta - considera l’idea di dare il meno possibile di te a persone che non siano in grado di reggere un tuo no, un “ma non si potrebbe fare diversamente?”, un cambio di programma.
Se hai fatto cose per far contento questo o quell’altro è, forse, perché quella era l’unica modalità possibile per stare insieme a quella persona. Bene, ora facciamo un reset: ti assicuro che le persone che ti vogliono bene tollerano i tuoi no, i tuoi cambi di programma, le tue idiosincrasie. Anzi, le adorano.
INVESTI IN ABITUDINI
Per noi indisciplinatǝ dello spirito, le abitudini non devono essere né troppe, né troppo poche, pena non averne proprio o - al contrario - rimanere tragicamente agganciatǝ a quelle che abbiamo. Chi di noi ha malattie croniche, poi, ha un rischio in più: quello di abdicare alle nuove abitudini per via dei dolori frequenti, che richiedono attenzioni specifiche e, in alcuni casi, anche uno stop. Mai desistere: anche se micro, le abitudini aiutano.
ONORA I TUOI BLOCCHI
Potrà sembrare controintuitivo, ma nello scegliere c’è anche l’accettare di essersi fermatǝ: l’accettazione dei blocchi. E come persone altamente sensibili, più di altri rimaniamo bloccatǝ nelle situazioni, umori, indecisioni croniche, auto-etichettamenti negativi che ci possono dare un senso di esaurimento (anche se non è tecnicamente burnout). Finiamola di biasimarci per essere rimastǝ bloccatǝ, per le vite che avremmo voluto vivere ma non sono state le nostre. Aggrapparsi ai blocchi è come cercare di allentare un nodo con forza. Non ci si riesce. E’ solo allentando la presa e facendo altro, che i nodi si sbloccano. Ma quei nodi - suvvia - impariamo a onorarli. Sono parte di noi, non alieni.
PERO’, POI, SCEGLI, C***O!
Gran parte del burnout è per via di decisioni non prese. Siccome per noi è difficile scegliere, mettiti un timer. Datti una scadenza e, alla peggio, se continui a essere nel dubbio tra due alternative (che saranno entrambe sicuramente interessanti, sei cognitivamente dotatǝ: non dimentichiamocelo!!), getta una monetina. Dico davvero.
IMPARA A LASCIAR ANDARE
Qualsiasi cosa ti sia stata ingiustamente chiesta, qualsiasi torto, qualsiasi non detto che hai intuito. Lascia andare. Non accanirti, nelle cose belle e nelle ingiustizie. Lascia andare. Ascolta Baricco come lo diceva bene, l’altra sera (metti al minuto 24:00)
Lasciando andare tutto, offri un regalo speciale che nessun’altrǝ potrà mai offrire. La tua felicità.
Bene, ora che mi sono esaurita a scrivere, ti ringrazio per aver letto fino a qui! ;)
Mi fai sapere se ti è piaciuta la nw di oggi? E’ così difficile capirlo da questo pc.
Ah, dimenticavo: ecco qui il CalenDIARIO di Febbraio. Si lavora sulle paure. Perché solo se le articoliamo, possiamo affrontarle. Parola di Stephen King, uno che se ne intende.
M(ercoledì)arzia
Dalla lettura di Mercoledì.
Ho preso una decisione, tanto tempo fa. Che se avessi voluto creatività nella mia vita - e lo voglio - avrei dovuto far spazio alla paura. Un sacco di spazio. (…) Non è sempre facile o comodo - portarti dietro la paura nel tuo grande e ambizioso viaggio, lo so - ma ne vale sempre la pena, perché se non impari a viaggiare comoda con le tue paure, non sarai mai in grado di andare da nessuna parte di interessante né fare alcunché di interessante.
Elizabeth Gilbert, Big Magic, pp. 24-26