Vogue Therapy
Cosa dicono le nozze di Bezos-Sánchez sulla psicoterapia, il privilegio e il discorso pubblico. BONUS TRACK: Una selezione di spassosissime commedie psy per le tue serate sotto il condizionatore
Nell’unica intervista concessa da Mrs. Besoz in questi giorni di nozze, la rivelazione più interessante è che anche lei è andata in terapia.

Bene, benissimo: auguri.
In questa newsletter:
chiacchieriamo del matrimonio dell’estate - che il gossip aiuta il cervello (Fonte);
ti faccio entrare in una polemica per addettə ai lavori: la psicoterapia e il suo rapporto con la distribuzione ineguale delle risorse - è nerdy, ma serve per capirci;
infine, ti mostro spezzoni di vecchie commedie in cui c’è unə terapeuta spassosissimə - così ne ridiamo un po’ su.
La definirei pindarica, questa puntata.
Iniziamo.
Quello che non sai delle nozze dell’estate
Prima cosa: erano finte. Niente pubblicazioni, chiese o firme. I due si erano già sposati in America tempo fa (Fonte). È stato solo un party d’inizio estate, un po’ più grande e più accaldato.
Seconda cosa: i giornali italiani hanno messo in relazione la copertina di Vogue America (di cui sopra) col cambio di ruolo di Anna Wintour, la mitica direttrice. Se questo nome non ti dice niente, forse ti è più chiaro questo.
Beh, non era vero. Leggi la requisitoria della Soncini per capire meglio com’è andata. Il diavolo che veste Prada andrà semplicemente a fare il direttore editoriale DEL MONDO.
Terza cosa - e arriviamo al punto: nell’intervista a Vogue, la sposa parla (piuttosto brevemente) della sua terapia. Ecco lo spezzone che voglio mostrarti:
Ho fatto molta terapia, e mi ha cambiata in tanti modi.
Ma il vero cambiamento è stato Jeff. Jeff non mi ha cambiata — Jeff mi ha rivelata.
Con lui mi sento al sicuro. Mi sento vista. Mi lascia essere me stessa.Come dicevo di Sophia Loren, che è libera senza chiedere scusa —
lui mi lascia essere libera senza chiedere scusa.Lauren Sanchez, 2025, Vogue
Intendiamoci: Lauren è solo l’ultima di una lunga schiera di celebrities che ci vanno — e meno male. C’è addirittura un sito — questo — dove annotano chi ci è andato e per quali motivi.
Un’ultima chicca. Pare che questo sia stato il loro invito (l’ho scoperto su
).🧠
Che senso ha questo “coming out terapeutico”?
Riprendiamoci: stiamo parlando della terapia di Lauren. E’ vero che ormai andare in terapia è normale e normalizzato - evviva!
Eppure, qualche domanda possiamo comunque farcela:
Lauren l’ha fatto per mostrare una commodity strategica, parte della sua “routine di bellezza”? Perchè no, non ci sarebbe niente di male.
E’ il suo un goffo esperimento per far finta di essere unə di noi? Dubito che ci sia riuscita.
O, forse, possiamo metterlo in relazione al tentativo contemporaneo di scaricare tutto sulla responsabilità individuale e camuffare le cause strutturali delle diseguaglianze (di cui lei e il marito sono senz’altro, felicemente, complici)?

A proposito del rapporto tra terapia e società contemporanea che è venuto fuori dopo l’uscita di Modernità esplosiva di Eva Illouz la terapia può, in effetti, essere usata per:
1. Ridurre problemi sistemici a responsabilità individuali
Lavoro, soldi, clima: difficoltà collettive e strutturali vengono schiacciate sul singolo, nascondendone le vere cause (disuguaglianza, precarietà, crisi delle istituzioni).
2. Ipersemiotizzare le emozioni
Ovvero: analizzarle, isolarle, cercare soluzioni solitarie, quando in realtà le radici del malessere sono anche relazionali, storiche e culturali.
3. Curare problemi generati dallo stesso sistema commerciale che dovrebbe poi “curarci”
Ci viene detto che siamo “da sistemare” per poi venderci il rimedio. E se quei problemi, in realtà, non fossero problemi? O se un’introspezione mal fatta contribuisse a pensieri strani riguardo alla fruizione della psicologia?
Guardando però le classifiche Amazon dei bestseller in ambito salute e benessere, direi che le priorità degli italiani - almeno in questo momento - sono altre.

RICORDA, PERO’ CHE…
Andare da unə psy guarisce.
Ha un’efficacia clinica dimostrata. C’è anche un’intera branca che si occupa solo di quello, di capirne l’evidenza scientifica: qui il manifesto di questa disciplina.
Unə buonə psy legge le tue emozioni anche in relazione a contesto, cultura, relazioni. Insomma, non ti lascia con il peso della tua sola responsabilità individuale.
La buona terapia non ti anestetizza: ti attiva.
Non ti chiede solo di accettare la realtà, ma anche – se vuoi – di cambiarla.Nessuno dovrebbe rinunciare alla psicoterapia.
Semmai, dovremmo ripensarla: meno incentrata sull’individuo, più sulle condizioni condivise.
🧠
Qualche buona commedia psy? VINTAGE EDITION
Premessa: il codice deontologico non approverebbe, ma qui si fa per ridere.
Il titolo originale era Analyze This - lo trovi su Prime.
Di film italiani con protagonista unə psy ce ne sono parecchi. Qui una personalissima selezione:
Confusi e felici (Prime) - lo psicologo è Claudio Bisio e quando decide di mollare, i suoi pazienti si ribellano, aiutandolo a portare a termine un viaggio;
Maschi contro femmine (Netflix) - qui lo psicologo parla in romanesco ed è il più politicamente scorretto che io abbia mai visto rappresentato. Spassosissimo;
Ti ricordi di me? (Prime) - un giovanissimo Edoardo Leo si innamora di Ambra Angiolini perché vanno dalla stessa psicologa. Carino;
Habemus Papam (Prime e Rai Play) - la psicologa che prende in carico il papa rinunciatario è Margherita Buy, che ad un certo punto lo porta con sé in auto a prendere i figli (!). L’ex marito psicoanalista, il solito Nanni Moretti, è, invece, impegnato col Conclave a organizzare tornei di pallavolo.
Grazie per aver letto fino a qui! ;)
Per commenti, basta rispondere a questa mail – e sì, rispondo a tutte le mail.
M(ercoledì)arzia
🧠Inoltra questa puntata all’amica che manda audio da 7 minuti dopo che è uscita dallə psy. E dille di iscriversi🧠
Dalla lettura di Mercoledì.
Coetanee, concittadine, comari: ci riconosciamo, tra di noi. Siamo quelle che entrano nei ristoranti e chiedono d’abbassare il riscaldamento d’inverno e d’alzare l’aria condizionata in estate. Siamo quelle che la mattina escono con strati d’abbigliamento perché siamo cresciute in un secolo meno caldo (e con madri che ingiungevano “vèstiti a cipolla”), ma poi si trascinano giacche, maglioni, cappotti che ci è impossibile tenere addosso per insofferenza da caldo. Se vogliamo mettere in imbarazzo quello che ci dice “ma non fa caldo” (ce n’è sempre uno), rispondiamo con la parola che più raggela l’uditorio: menopausa.
Guia Soncini, Questi sono i 50, 2023, p. 69