Di cosa abbiamo cantato
Motivi che ti rimangono in testa e psicologismi delle canzoni di quest'anno.
Che tu l’abbia seguito o meno, Sanremo sta continuando ad occuparti il cervello. Eh lo so. D’altronde, quest’effetto ha un nome - si chiama earworm, verme nelle orecchie - e riguarda chiunque almeno una volta a settimana, dando più o meno fastidio.
Le canzoni di Sanremo che stai canticchiando, quest’anno sono su temi specifici e hanno usato molti termini psicologici, alcuni veri e propri tecnicismi. Sarà il segnale che ci stiamo evolvendo?
In questa newsletter volante:
parliamo di earworm - e di come risolverlo, quando ti capita;
analizzo i temi delle canzoni - per capire di che cosa abbiamo veramente cantato;
chiarisco alcuni tecnicismi psicologici usati quest’anno.
Per prima cosa, recuperiamo perché il Festival della canzone italiana con tutti quei fiori è di stanza a Sanremo: qui. E perché il mese di febbraio è così pieno di fiori: qui.
Quel tormentone che ti rimane in testa
Può provocare più o meno fastidio, ma esiste per chiunque ed è un’esperienza straniante. Essere posseduti da un motivetto, dal ritornello di una canzone o dal jingle di una pubblicità, è avere un earworm. Le poche ricerche che ci sono documentano in media un episodio a settimana. Qui un approfondimento.
Come se ne esce?
Intanto, leggendo Musicofilia di Oliver Sacks, antropologo e neurologo che racconta come la musica aiuta a risolvere problemi mentali - o li crea.
Poi, dando un’occhiata qui. Ci si libera dell’earworm masticando una gomma, sostituendo il motivetto con un’altra canzone, ascoltando per intero quella “dannata” canzone.
Di che cosa abbiamo cantato, questo Sanremo
Ho chiesto a ChatGPT di fare un’analisi dei testi di quest’anno. Le parole più usate - e i temi delle canzoni. Le prime tre parole le faccio dire da Valeria Rossi.
Le altre più usate, sono state:
Bacio
Sogno
Strada
Tempo
Ricordo
Se dovessimo giudicare Sanremo da questo elenco, sarebbe un rito collettivo basato su gente che si bacia, sogna e ricorda il tempo che fu - un’accolita di depressi innamorati, insomma. Meno male che c’è la parola strada, allora. Se non fosse che è stata affidata all’unica canzone senza cantante.
All’intelligenza artificiale ho chiesto poi di individuare i temi delle canzoni. Quello maggiormente rappresentato non ti stupirà, gli altri forse sì.
Relazioni - E’ il tema più gettonato - e ce n’eravamo accorte, grazie tante. Forse non ci siamo accorte, però, che quest’anno c’è complessità e struggimento.
C’è chi vuole un figlio ma non riesce a parlarne, chi tiene fra le mani un cuore fragile, chi raccoglie i cocci dopo una storia con un narciso, chi è stato lasciato e non se ne fa una ragione.
Nostalgia e memoria - In secundis, parole come casa, memoria e storia parlano di un passato tangibile e un’identità in cui i luoghi sono fondamentali per raccontare la propria storia.
Quotidianità urbana - E’ il terzo tema, quello dove vengono usati termini come strada, quartiere, smog, telefono e taxi. Come se abitare in città - con il suo ritmo, tutte le cose da fare e i posti da raggiungere - richieda uno spazio a sè.
Psicologismi sanremesi
In diverse canzoni quest’anno c’erano veri e propri tecnicismi per esperti. Parole usate in terapia, termini quotidiani che hanno radici psicologiche o veri e propri riferimenti alla psicofarmacologia.
La nictofobia di Lucio Corsi
Partiamo dal vincitore morale di quest’anno. Nella prima strofa, ad un certo punto, canta: “Non sono nato con la faccia da duro - Ho anche paura del buio”.
Ecco qui, la nictofobia, che non è mica una prerogativa dei bambini. Pur nascendo - come ogni paura - per proteggerci da stimoli evidentemente pericolosi, si traduce in comportamenti e scelte eccessivi per evitare di sentirsi male.
C’è chi non riesce più a dormire, chi ha paura di stare in luoghi senza luci, o si rifiuta di uscire la sera. Qui un approfondimento.
Forza Lucio.
Per i Coma_Cose è questione di autostima
I loro cuoricini puntano il dito contro la mancanza di autostima di chi li cerca ossessivamente. Ma sappiamo esattamente che cos’è? Qui una definizione rispetto a cose simili - ma non uguali - come l’auto-efficacia.
Ci torneremo, promesso.
Fedez entra nel tecnico e cita neurotrasmettitori e psicofarmaci
Che la sua canzone fosse tecnica, l’avevamo capito. Parte citando la terapia (di coppia), per arrivare a raccontare la depressione. D’accordo.
Ad un certo punto, però, cita il ruolo della serotonina e di una sostanza che si usa per inibire i recettori e “farla funzionare” più a lungo: la fluoexetina. D’altronde, che la depressione sia una questione genetica e di regolazione dei neurotrasmettitori, ormai è di dominio pubblico.
Non so se fosse il suo intento, ma si tratta di un passo in avanti per togliere lo stigma dell’assunzione di psicofarmaci, ancora molto presente soprattutto nelle culture latine come le nostre.
Rkomi è rimasto alle macchie di Rorschach
Che io sappia, sono in pochissimi a usarle. Anche perché hanno compiuto cent’anni e la loro attendibilità è da sempre dibattuta.
Non trascuriamo il fatto, però, che stiamo parlando della storia dei cosiddetti test proiettivi, misurazioni cliniche per comprendere disturbi mentali piuttosto importanti. L’assunto su cui si basano è che il paziente proietti su di loro questioni irrisolte o in qualche modo problematiche. E le macchie si prestano così bene perché volutamente ambigue e simmetriche.
Il clinico che sa usarle lo fa dopo un lungo apprendistato e valuta non solo la risposta, ma il tempo di formulazione e il racconto elicitato, più in generale.
Ciò detto, Mirko: le usano solo gli psicoanalisti più “rigidi”: io non ne conosco nemmeno più uno.
Poi arriva Willie Coyote - e la chiude lì
Grazie per aver letto fino a qui! ;)
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M(ercoledì)arzia
Dalla lettura di Mercoledì.
I rapporti umani veri e l’immaginazione sono le cose che mi stanno più a cuore e che forse non possono esistere separatamente. Ci avevo messo molto tempo ad abbandonare il desiderio di compiacere chi non si curava del mio benessere e non sapeva circondarmi di affetto. I libri che ho scritto sono miei e i diritti d’autore andranno alle mie figlie. In questo senso, i miei libri sono la mia proprietà. E non è una proprietà privata. Non ci sono cani feroci o guardie al cancello, né cartelli che vietano di tuffarsi, baciare, fallire, provare rabbia o paura, intenerirsi o piangere, innamorarsi della persona sbagliata, impazzire, diventare famosi o giocare sull’erba.
Deborah Levy, Bene immobile, 2021/2024, pp. 248-249