Se andare dal parrucchiere diventa stressante
Settembre è il mese dei tagli, dei: "Cosa mi consigli?" detti a chi ha la forbice facile. Come finisce? A pianti disperati, anche. Come se ne esce? Bene, se sai come farlo
E’ impossibile trovare un appuntamento in queste settimane. Gente disperata disposta a tutto pur di venirne fuori, spesso sentendosi rispondere col laconico: “Non ho posto, mi spiace”.
Cose, persone e risparmi sono magneticamente diretti a loro: parrucchierǝ e barbierǝ, ma anche estetistǝ e manicure.
Che tu abbia o meno trovato posto, hai bene in mente che andare a tagliare i capelli può essere molto stressante. Ci sono pressioni, interpretazioni diverse, interazioni ravvicinatissime, discorsi e relativi silenzi.
In questa newsletter:
ti spiego che cos’è l’intesa tricologica - e perché è così difficile raggiungerla;
analizzo le domande e i discorsi tipici da parrucchierǝ, per imparare a districartene, nel caso;
ti racconto qualcosa di personale;
ti spiego perché non trovi giornali, ma solo riviste;
ti regalo indicazioni pratiche su come fare in modo che questo momento non sia stressante per te.
Partiamo da quella che viene chiamata intesa tricologica e che non sempre si realizza. (Se ne parla sull’ultimo numero cartaceo di Elle - rivista che ho letto dove? Sì, hai indovinato)
Quante volte ho pianto, il giorno dopo, qualche ora dopo - a casa? Per il taglio troppo corto, per il colore sbagliato, perché non mi ero sentita capita o perché a quel trattamento preferivo i 40 euro ancora nel mio, di portafoglio.
E ancora: quante volte mi sono sentita giudicata, là dentro? Se non per la ricrescita: per i vestiti, per le unghie, per la borsa. E se non direttamente da chi fa i capelli, anche da lei: la temibilissima “signora da parrucchiere”. Quella splendida sessantenne ciarliera con abbronzatura dorata, méches perfette, borsa di vernice e profumo impeccabile a cui basta guardarti quell’attimo in più.
Ora: per statistica personale so che l’intesa tricologica è un traguardo da festeggiare con i botti di capodanno.
Perché é così difficile?
Anzitutto, casa e parrucchierǝ sono due contesti differenti: ciò che funziona sotto i faretti, non è detto che regga a casa, con il tuo specchio e lo shampoo del supermercato. La soluzione non può essere quella di trasformarci tuttǝ in professioniste del capello, su;
I saperi in gioco sono diversi - ma di ugual valore: da un lato, chi fa i capelli si appoggia a un expertise professionale; chi ce li ha addosso è, invece, esperto per esperienza - un costrutto su cui le scienze sociali stanno lavorando molto negli ultimi anni: conosce la propria vita - capelli compresi - meglio di chiunque altro;
E’ una questione di affinità: per avere intesa occorre un minimo piacersi. Se così non è, il/la cliente se ne va insoddisfattǝ, perché non ha trovato qualcosa di interessante nello scambio. D’altronde, in salone si sta molto vicini, si viene toccatǝ ed è uno spazio intimo che non lasciamo proprio a chiunque;
L’influenza degli altri conta: si chiamano astanti, sono la temibile signora di cui sopra e gli/le altrǝ. Anche se non parlano direttamente a te, sono ascoltatori ratificati di quello che viene detto. Allo stesso tempo, anche tu hai accesso a quello che dicono loro e questo influisce anche sulle tue decisioni. Un esempio? Se in quel momento le altre clienti hanno tutte lo stesso prodotto in testa e ne parlano bene, è molto probabile che quando verrà il tuo turno, anche tu capitolerai.
C’è poi differenza fra il piano dell’interazione e quello della relazione: anche se conosciamo quel/la parrucchierǝ da anni e ci fidiamo - il cosiddetto piano del là e allora, quello del tempo continuativo passato in cui due persone si conoscono - ci può essere un giorno in cui qualcosa non funziona - e siamo nel piano del qui ed ora, quello dell’interazione al presente. Succede: l’intesa si può perdere - o rinegoziare - anche così. I più bravi ne escono parlando di quello che è successo e lasciandosi sempre mettere in discussione. I rigidi il/la cliente l’hanno già persǝ, magari senza nemmeno accorgersene.
C’è poi un piano più squisitamente interattivo che ci viene mostrato dall’Analisi della Conversazione - una disciplina a cavallo fra la sociologia e la linguistica, usata anche da psicologi e antropologi. E che sì, può anche essere applicata al salone di bellezza.
Domande progettate per una SOLA risposta
“L’acqua è troppo calda?”
“E’ troppo corta la frangia?”
O ancora: “Brucio, faccio male?”
Sono domande che, per come sono formulate, proiettano una risposta preferenziale. Qual è questa risposta? Un bel NO che serve a rassicurare.
In due casi, poi, lo capiamo perché l’avverbio “troppo” ci costruisce come eccessivi nella risposta, se diciamo di si. Ne va della nostra identità, insomma.
“La facciamo la cheratina, vero?”
In questo caso, si chiama tag question e il fatto di aggiungere la particella “vero” alla fine della domanda spinge l’interlocutore a confermare quanto detto nella porzione precedente della frase.
Qui poi c’è anche l’uso del NOI - l’institutional we - in cui i capelli e i soldi sono tuoi, ma sembra che la cosa sia condivisa. Di solito, lo si usa per dare direttive.
C’è poi un’altra domanda che di solito ci viene fatta quando siamo al lavaggio dei capelli, in una posizione da cui è impossibile evadere.
La fatica di rifiutare
“Ti posso mettere la crema-trattamento-maschera (miracolosa)?”
Te lo chiedono mentre sei lì, magari con gli occhi chiusi a cercare dov’è quel chakra su cui pare che concentrarsi faccia stare meglio. Ovviamente, te lo chiedono senza specificare i prezzi - che si sa, parlare di soldi al salone è come fare fisica quantistica alla fermata del tram. Una cosa difficilissima e da veri adepty.
E’ un attimo che ti trovi a rispondere: “Ceerto”.
In quel caso, infatti, dire NO è ancora più difficile:
per via della posizione. Lui/lei è dietro di te, bipede, attivǝ. Tu, invece, sei a pancia in su a guardare il soffitto in una posizione innaturale e con i capelli a mollo;
per la modalità con cui è formulata la domanda (vedi sopra);
perché non hai accesso visivo. Chi ti ha appena finito di lavare i capelli è dietro di te e non puoi vedere che cosa ti sta mettendo in testa né i suoi movimenti o espressioni del viso;
per le reazioni che il tuo NO può scatenare - ma, quelle, sono sempre al di fuori del tuo controllo.
A chi scrive, dopo un rifiuto, sono capitate reazioni di disappunto, giudizi negativi e insistenze collettive. Una volta ho dovuto rifiutare 3 volte lo stesso trattamento da 3 persone diverse nel giro di nemmeno un minuto. Un record? Non credo.
Ricorda: come l’altrǝ reagisce non è sotto la tua responsabilità. Semmai, è tua responsabilità articolare ciò che pensi in maniera rispettosa e non violenta. Il resto, è roba sua.
Ora: non è detto che tutte le domande articolate in questa modalità siano sempre la solita strategia commerciale. Magari davvero quel prodotto-trattamento-maschera fa la differenza per il tuo capello. Magari è davvero per il tuo bene (sì, me lo sono anche sentite dire). Ci crediamo, ok?
Lasciateci in ogni caso lo spazio di rifiutare, please.
Di cosa si parla dal/la parrucchierǝ?
Tanti anni di frequentazione - e di confronti con altrǝ clienti - mi confermano che i discorsi sono codificati a seconda, purtroppo e ancora, dei generi, con un effetto moderatore a seconda dell’età.
DISCORSI AL SALONE FEMMINILE
E’ possibile parlare di: diete, vestiti, vacanze, figli, scuola dei figli, case, malattie, parti, cani (con l’immancabile: Gli manca solo la parola), parcheggi, Temptatation Island.
Si parte di solito dalla rivista di turno, a cui ci si aggancia per intavolare discorsi. Se poi le riviste sono di gossip, la probabilità dell’ultimo argomento aumenta.
A proposito: mai trovato un quotidiano. C’è un perché e lo spiego fra un attimo.
E’ altamente auspicato SPARLARE di: suocere, cognate, BADANTI delle madri - vanno bene anche quelle delle suocere -, maestre e professoresse dei figli, figlie. In questo rigorosissimo ordine. E, spesso, non sono solo le clienti a parlarne, ma è chi ti fa i capelli a sfogarsi. E sono pure loro a fatturare a te, incredibile.
Poi dici lo stigma interiorizzato femminile di cui parlavamo qui. Hai notato di quantǝ donne sparliamo?
DISCORSI CARPITI NELL’ALTRO SALONE
E’ possibile parlare di: auto, traffico (nelle sue varianti: lavori in corso, asfalto da rifare, ztl e varchi), parcheggi, sport (meglio se di nicchia: non calcio - piuttosto: ciclismo e tennis), prodotti anti-caduta, viaggi (più che vacanze), bollette, parchimetri e app per parcheggio.
Se non ascoltati dall’altro genere, si può parlare di: l’altro genere.
DISCORSI RIFIUTATI DA ENTRAMBI
La politica. Tutt’al più si parla di quella locale - il sindaco qui, questo là, cose così. Ma anche lì è molto difficile trovare opinioni realmente nel merito. E’, sostanzialmente, un discorso tabù. Ecco perché non ci sono i quotidiani: perché ci si troverebbe a discutere di attualità e di questioni politico-economiche che potrebbero scatenare conflitti.
Di malattie, anche, si parla poco. Tutt’al più di quelle degli altrǝ. Ben che meno si parla di salute mentale, che pure sarebbe molto utile in quel contesto.
Come se ne esce?
Intanto: fatti spazio, legittimati. Puoi rifiutare - anche senza articolare le tue ragioni. La compiacenza raramente è una dote generativa; la gentilezza, invece, ha tutt’altra natura e aiuta anche con i rifiuti.
Impara a ripetere le domande prima di rifiutare. Una cosa del tipo: “Ah, mi stai chiedendo di quel trattamento?” Pausa. “No, grazie: oggi no”. Ti prendi un poco di tempo in più, respiri, e poi, se non ti va, rifiuti.
Mai dire SPUNTATINA. Ripeto: mai dirlo.
Per una persona altamente sensibile, il carico sensoriale del salone può essere particolarmente stressante: scegli ciò che è più sensato per te. In uno spazio ristretto ci sono molte persone, il riflesso costante degli specchi, c’è rumore e la radio è accesa.
Nell’attesa che nascano saloni per persone altamente sensibili, scegli chi ti può far passare un’esperienza positiva: preferisci chi non ha molto personale, orari meno trafficati e esperienze che in generale non ti facciano andare in sovraccarico sensoriale. Funziona: garantisco.
Impara a dire quello che ti piace e che NON ti piace. Ti piace magari il colore, ma non il volume della radio: chiedi di abbassarlo. Di solito anche gli/le altrǝ ne beneficeranno. In fondo, se 1 ogni 4/5 persone è altamente sensibile, è del tutto probabile che tu possa far bene anche a qualcun altrǝ.
Grazie per aver letto fino a qui! ;)
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M(ercoledì)arzia
Dalla lettura di Mercoledì.
Appena entro in una biblioteca, mi radico, mi trovo, mi tranquillizzo. Sento il senso della vita. Voglio vivere lì e trovo lì il coraggio di vivere. Il secondo luogo sono gli aeroporti. (…) E’ un luogo di transizione, un luogo di attraversamento: mentre lo avvistavo, o ci passavo, o ci entravo, avvertivo che il mio malanno si scioglieva. Smettevo di sentirmi nel posto sbagliato o di essere la persona sbagliata. In aeroporto io sono come tutti gli altri, perché il problema di base è percepirmi profondamente sbagliata, fuori posto.
Jhumpa Lahiri, 2023 - Intervista con Marco Missiroli